Gli iperdotati hanno bisogno di noi
“Quando un sarto fa un vestito (…) lo adatta alla corporatura del cliente e se questo è grosso e piccolo, non gli fa indossare un abito troppo stretto, col pretesto che ha la grandezza corrispondente, di regola alla sua altezza (…) al contrario l’insegnante veste, calza, incappella tutte le menti nello stesso modo. Egli ha solo roba fatta in serie, e i suoi scaffali non consentono la minima scelta”.
Molto è decisamente cambiato da quando, negli anni ’20, Claparède preannunciava l’esigenza di una scuola equa in quanto in grado di dare a ciascuno ciò di cui ha effettivamente bisogno. Nulla è più fonte di diseguaglianza, di disparità di un insegnamento fondato sul “fare parti uguali tra disuguali” come ci insegna Don Milani. La vera ingiustizia consiste, allora, nel non fare le differenze: ovviamente le opportune differenze.
Siamo mentalmente restii a parlare di differenze, termine che, nell’immaginario collettivo, assume una connotazione negativa e fortemente criticabile.
In ambito scolastico il concetto, interpretato nel modo adeguato, comporta l’individuazione e il riconoscimento di interessi, di motivazioni, di conoscenze, di abilità, di competenze, di ambienti di vita e contesti socio-culturale-economici, in una parola di identità, di persone con bisogni specifici diversi che devono essere considerati, in egual modo e misura, a tal punto di divenire il focus del lavoro di progettualità e di programmazione degli insegnanti e, quindi, dell’attività di insegnamento-apprendimento.
La scuola italiana, molto più di altre, ha dimostrato una sensibilità ed un interesse particolari nei confronti degli alunni svantaggiati e, attraverso una proficua attività legislativa, ha costruito negli anni un sistema all’avanguardia mirato all’integrazione e all’inclusione.
Un po’ meno attenta, ed ora in fase di recupero, nei confronti degli alunni dotati di alto potenziale cognitivo, nella condivisa erronea consapevolezza che i bravi, gli iperdotati, possiedano un dono di natura che non necessita di attenzioni particolari e che permetterà loro di raggiungere facilmente ottimi risultati scolastici e successo nella vita.
Nulla di più falso.
Chi sono i bambini talentuosi (i geni)?
Non solo. Di certo la loro individuazione non è così semplice, ne’ tantomeno scontata.
Il primo profilo è quello dello studente di successo, perfettamente adeguato al contesto scolastico che ottiene buoni risultati senza intenso sforzo ed eccessivo lavoro.
Secondo Maria Assunta Zanetti e Roberta Renati diversi sono i profili della giftedness e, di conseguenza, diverse le modalità di intervento della scuola.
Nel secondo viene considerato l’alunno creativo, dotato di molta energia, spesso insicuro e, al contempo, arrogante, vulnerabile psicologicamente, con un evidente disagio scolastico.
Il terzo profilo corrisponde allo studente iperdotato sotterraneo insicuro e ansioso, vulnerabile psicologicamente, con scarsa tolleranza alla frustrazione e con evidenti disagi vissuti nell’ambiente scolastico.
Nel quarto profilo le autrici inseriscono gli studenti a rischio evidenziando due sottogruppi distinti: il prosociale con disaffezione alla scuola e rischio di drop-out e l’antisociale che palesa atteggiamenti di bullismo, devianza, uso di sostanze, ecc.
Nel quinto profilo rientra lo studente doppiamente eccezionale che presenta contemporaneamente un disturbo in un’altra area: dislessia, ADHD, autismo, disturbo bipolare, ecc.
In questo caso il gifted mostra bassi livelli di autostima, basso rendimento scolastico, vulnerabilità psicologica e disagio scolastico.
Del sesto profilo fa parte, infine, lo studente dotato di un’ottima autonomia, sicuro di sé, motivato, pronto a cogliere le sfide, capace di instaurare buone relazioni con i compagni e gli insegnanti. Non sempre e non necessariamente con un buon rendimento in quanto non è la scuola a rappresentare la priorità della sua vita.
Come afferma Neihart non rappresentano di certo una categoria omogenea “… non c’è gruppo di giovani più vario di quello dei bambini e adolescenti ad APC. Non solo essi provengono da ogni realtà di vita, da ogni appartenenza etnica e socioeconomica, oltre che ad ogni nazionalità, ma esibiscono anche una varietà pressoché illimitata di caratteristiche diverse di temperamento, di propensione ad assumere dei rischi o di maggior cautela, d’introversione o di estroversione, di reticenza o stravaganza, come infine nella quantità d’impegno investito per raggiungere un obiettivo…” .
Ed è pure il caso di sfatare alcuni miti largamente diffusi nell’area della plusdotazione: contrariamente a quanto si possa immaginare gli studenti ad AP (alto potenziale) o di talento hanno bisogni speciali dal punto di vista emotivo e sociale, possono evidenziare problemi a livello relazionale e notevoli difficoltà ad integrarsi e a stringere amicizie, non sempre ottengono volti alti o riescono bene in tutto ciò che viene loro proposto e, quindi, possono aver bisogno di supporto. Non mancano casi si alunni talentuosi privi di interesse, motivazione ed entusiasmo nei confronti della scuola. Winebrenner ritiene raro che “ tali studenti dimostrino capacità eccellenti in tutte le materie, spesso abilità e interessi si concentrano in una o più aree specifiche, mentre possono avere prestazioni nella o al di sotto della media in altre materie”.
Secondo quanto sostenuto da Reis e Renzulli gli “Alunni AP possono avere prestazioni al di sotto delle loro capacità, a causa di perdita di motivazione, scarso impegno e/o interesse, mancanza di stimoli o di un contesto supportivo”.
E la scuola come rispode?
Art. 4 D.P.R. 275 – Autonomia didattica
1. Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema, a norma dell’articolo 8 concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo.
Come possono gli insegnanti rapportarsi correttamente all’iperdotazione?
I docenti innanzitutto devono riconoscere i diritti di questi alunni ad essere capiti e il diritto ad essere destinatari di adeguati interventi e modalità didattiche, relazionali, motivazionali.
Quindi essi devono essere dotati di intelligenza emotiva, con una buona capacità di instaurare relazioni idonee a trasmettere interesse nei confronti dello studente, e da esso percepito, nei riguardi del suo essere, delle sue specifiche esigenze, dei suoi particolari bisogni.
Un docente che sappia abbinare al possesso dei contenuti disciplinari, le pratiche pedagogiche di volta in volta equilibrate al contesto e alla situazione specifica, che sia in grado di rendere, attraverso continui riferimenti alla vita reale, significativo l’insegnamento-apprendimento, che abbia un alto livello di aspettative nei confronti dell’alunno evitando, al contempo, pressioni che potrebbero indurre a situazioni di ansia e di stress. Un docente che conosca e sia in grado di applicare le teorie di gestione della classe.
L’Education To Talent ci pone di fronte ad un meraviglioso orizzonte che apre gli spazi a nuove modalità operative, a metodologie lavorative foriere di sfide positive a beneficio di ciascun individuo sia esso plusdotato, nella norma o con disabilità e svantaggio.
Creare un ambiente partecipativo, sfidante che privilegi l’approccio del problem solving, predisporre materiali qualitativamente diversi (secondo il principio dal più semplice al più complesso ed elevato), in modo da offrire a ciascuno la possibilità di agganciarsi alla sua zona di sviluppo prossimale e raggiungere, di volta in volta, secondo tempi e capacità diversi, nuove conoscenze, abilità, competenze, i migliori risultati rapportati alle proprie potenzialità.
Offrire spazio alla creatività, incoraggiandola ed apprezzandola nelle sue varie forme, stuzzicare la curiosità, animare il pensiero critico, praticare la metariflessione e l’autovalutazione.
Insegnare la resilienza al fallimento, la capacità di accettazione-superamento del fallimento mediante la costruzione di un pensiero positivo su se stessi, attraverso il riconoscimento e l’accettazione dei propri limiti come delle proprie potenzialità.
Stringere contratti, formulare patti con gli alunni nei quali l’insegnante si impegna a predisporre dei materiali graduati, siano essi esercitazioni o prove di verifica, e l’alunno si assume la responsabilità di misurare le sue potenzialità per vedere sin dove esse si possono spingere, ponendo le condizioni per un apprendimento autoregolato che rappresenta un processo costruttivo, attivo in quanto è lo studente stesso che stabilisce gli obiettivi del suo apprendimento, che esercita un continuo controllo e monitoraggio su ciò che apprende, che regola i suoi processi cognitivi, la sua motivazione ed il suo comportamento.
Uno studente che, grazie al supporto di un insegnante non più semplice trasmettitore di conoscenze ma tutor, sostenitore, accompagnatore, mentore, punto di appoggio, guida, viene accompagnato alla conoscenza di se stesso e alla capacità di apprendere ad apprendere, intesa come capacità di trovare soluzioni a nuovi problemi e soluzioni originali e diverse a problemi già incontrati, siano essi anche semplici problemi legati alla quotidianità, creando, in tal modo, le condizioni migliori per la sua autonomia e le basi per la costruzione del proprio progetto di vita.
Il potenziale germina nello spazio della relazione con se stessi e fra se stessi e gli altri.
Il potenziale è una possibilità che ha bisogno del nutrimento che viene dal mondo, dalle relazioni, dalle conoscenze disponibili, dalle altre persone e dal poter immaginare ciò che ancora non esiste.
Maria Assunta Zanetti, Roberta Renati, Angela Beretta, in “RICERCHE DI PSICOLOGIA ” 2/2013, pp. 295-299, DOI:10.3280/RIP2013-002004